Samolaco attraverso i tempi
Samolaco deriva il suo nome dal latino “Summo lacu”, così citato già nell”itinerarium” dell’imperatore Antonino Pio (II secolo d.C.), proprio per la sua collocazione all’estremità settentrionale del Lago di Como. Il toponimo subì poi successive trasformazioni (Summolego, Summolico, Samolico), per giungere all’attuale denominazione.
Il primo fatto notevole di cui si ha notizia è il martirio di S. Fedele, raggiunto proprio qui e decapitato dai suoi inseguitori per non voler rinnegare la propria fede, dopo che aveva abbandonato il servizio nell’esercito imperiale (28 ottobre 286). Sul luogo nacque una cappelletta, andata poi distrutta (verso il 600); solo dopo il 964, data del ritrovamento delle sue spoglie da parte di una certa Domenica di Samolaco, rinacque la devozione popolare verso questo martire, al quale venne dedicato il tempietto detto di San Fedelino, fra i più antichi della provincia (fine secolo X), ora in territorio di Sorico (provincia di Como).
Il villaggio di Samolaco doveva trovarsi nei pressi dei ruderi della chiesa di San Giovanni all’Archetto; lì vicino si vedono ancora i resti di alcune fornaci per la cottura della calce, che sicuramente vi giungeva a bordo dei barconi che risalivano il lago.
Da lì passava anche la Via Francisca, continuazione verso Nord della Via Regina, che risaliva la sponda destra del Lago di Como. Attraverso questi percorsi si giungeva a Chiavenna, per proseguire poi attraverso i valichi oltre la catena alpina. Immaginabili i grandi traffici, e la relativa importanza di questo villaggio, quale luogo di scambio fra il trasporto via acqua e le carovane di muli che proseguivano verso Nord. Il destino del nucleo era però segnato, a causa delle frane e delle alluvioni provocate dalla vicina montagna e dai due impetuosi torrenti Casenda e Meriggiana. Lo dimostra anche il progressivo interramento della chiesetta di S. Giovanni, più volte ricostruita (1627, 1843) per essere definitivamente abbandonata nel 1929.
Una parte del piano (tra Era e S. Pietro) venne bonificata dal Maresciallo di Francia Gian Giacomo Trivulzio (1499) che costruì dei canali navigabili, fece sorgere delle fattorie e introdusse, tra l’altro, l’allevamento del cavallo che poi occupò una parte importante nell’economia del Paese.
Successivamente, per abbandono e incuria, la palude tornò a farsi strada, e la gente continuava a vivere nei nuclei di mezza costa, sostentandosi con piccole coltivazioni (castagne, patate, legumi e pochi cereali) e l’allevamento di bovini, capre, pecore, utilizzando per questo l’antica forma del nomadismo, che portava a sfruttare, durante la stagione calda, i pascoli di maggenghi e alpeggi. Solo alla fine dell’800 si pose mano alla vera e propria bonifica, con la costruzione di argini per il fiume Mera, canali di scolo (merette), strade e ponti. Fu così che il piano venne adeguatamente sfruttato per l’agricoltura (campi di mais, frumento, prati per la produzione di abbondanti raccolti di fieno), consentendo un cospicuo aumento anche dell’allevamento bovino e la diffusione del cavallo, con la famosa razza “Samolaco-avelignese” (ora ormai scomparsa). Molti samolachesi, nei secoli, trovarono nell’emigrazione un’alternativa alla misera economia locale, e le méte furono le più svariate, a seconda dell’epoca: dall’Italia centrale e meridionale, ai paesi Europei (in particolare, ancora oggi, la Svizzera) alle Americhe per finire, nell’ultimo dopoguerra, con un flusso notevole verso l’Australia; mantenendo sempre un forte legame con il paese d’origine, come testimoniano le generose donazioni per gli arredi sacri delle chiese in passato, a favore di opere di pubblica utilità (biblioteca, museo) ai giorni nostri.
Percorrendo oggi i sentieri storici, adeguatamente recuperati e segnalati, chi procede senza fretta e con occhi attenti può ancora ammirare molte testimonianze del passato, visibili nei vecchi fabbricati (spesso dotati dei caratteristici loggiati in legno, le “lòbie” un tempo stracariche di pannocchie poste ad essiccare), nei ruderi di San Giovanni all’Archetto, nella chiesa di S. Andrea al Colle, nella torre del Culumbée o nella Ca’ Pipéta (ormai nei pressi della Torre di Segname).
Con brevi deviazioni, si possono seguire i sentieri che portano a Monastero, o le stradine che salgono a Stalla, Fontanedo, Ronco, oppure portarsi più in alto e godersi il panorama dal bel villaggio di Paiedo. Molti i vecchi nuclei ancora ben conservati, e che meriterebbero di essere idoneamente valorizzati: oltre a quelli già citati, abbiamo la parte vecchia di Era (Cuéta), Casenda, Vigazzuolo, per non parlare di tutto quanto testimoniano i resti dei casolari abbandonati a mezza costa (Cusciago, Piazza, Macolino, Piazza Bedogna, per citarne solo alcuni).
Luoghi da scoprire
Ca’ Pipéta (dial. Chiè Pipéta)
Coordinate geografiche: 46º 16’16.54″ N – 9º 22’07.47″ E – quota m. 470
Si tratta di una costruzione unica nel suo genere, dal momento che il tetto è costituito da un enorme lastrone di pietra. Sotto, con grande pazienza e non senza una certa dose di coraggio, vennero fatti degli scavi e costruite opere murarie di sostegno (si dice che, addirittura, sia stata ottenuta dal parroco una particolare dispensa che consentiva di proseguire l’opera anche nei giorni festivi).
Il tutto consentì di ricavare diversi ambienti utilizzabili come abitazione e stalla annessa: i più attenti hanno contato ben otto locali, addirittura forniti di acqua corrente, che sgorga, lentamente ma in modo costante, presso il locale cantina, addossato alla roccia sul lato a monte. Il materiale dello scavo, depositato all’esterno, è probabilmente all’origine dello spiazzo che ancora si trova davanti alla casa, verso valle; per completare l’opera, a qualche decina di metri, verso Sud, fu costruito il crotto, come dimostrano ancora il tavolo e sedili in pietra posti accanto all’ingresso.
Ora l’edificio, da tempo abbandonato, si presenta in stato di grave degrado: sono stati asportati i soffitti in legno, le porte e le finestre, mentre l’acqua della piccola sorgente, mancando la regolare pulizia del canaletto di scarico, allaga il pianterreno. Per completare l’opera, qualche vandalo ha rotto parte della pigna che scaldava gli ambienti, mentre capre e pecore vi sostano a loro piacimento.
Negli ultimi tempi diversi sono stati i progetti volti ad un idoneo recupero, per ora senza esito.
La casa è raggiungibile da Ronscione, seguendo il sentiero che porta poi alla Torre di Segname; in alternativa, ci si può arrivare portandosi con l’auto a Posmotta e traversando poi verso Nord, lungo un facile sentiero che permette di visitare quanto rimane di antichi nuclei (come Piazza Bedogna) e di varie case isolate.
Alpe Borlasca (dial. Burlàsc.chja)
Coordinate geografiche: 46º 15’ 46.58″ N – 9º 21’3.29″ E – quota m. 147
Si tratta di un buon alpeggio, adagiato in bella posizione panoramica sulla dolce dorsale che separa la Valle della Mengasca a Sud dalla Val Bodengo a Nord. Le baite sono una ventina, distribuite fra due principali nuclei e con al centro una bella fontana protetta dall’ombra di un maestoso faggio.
Il problema principale era, in passato, la scarsità di acqua, ultimamente risolto con la posa di una tubazione che la attinge presso le baite di Campo dove, al contrario, sgorgano abbondanti sorgenti.
Un solo pastore attualmente vi conduce le bestie, mentre la ristrutturazione di molte case e la possibilità di salire sfruttando la strada della Val Bodengo, fino alla località Bedolina, favorisce una discreta frequentazione dell’alpeggio per le vacanze.
Pozzuolo (dial. Puzőő)
Coordinate geografiche: 46º 15’35.14″ N – 9º 21’47.52″ E – quota m. 1021
Piccolo maggengo che occupa un dosso lungo il sentiero che porta all’Alpe Borlasca. Deve il nome alla scarsità di acqua, attingibile da una sola pozza, che alle volte va in secca. Anche per questo da tempo è stato abbandonato.
È raggiungibile sia dal sentiero che sale da Ronscione, passando per Posmotta e il Técc, sia dalla località Caurghetto (meno agevole e poco frequentato).
Alpe Campo (dial. Chjéemp)
Coordinate geografiche: 46º 14’ 45.74″ N – 9º 19’ 33.06″ E – quota m. 1652
È uno degli alpeggi più grandi di Samolaco, con una capacità di carico di circa 60 erbate o “vaccate” (ossia, quantità di pascolo sufficiente a mantenere un bovino adulto nei mesi estivi, oppure un numero maggiore di vitelli; pecore e capre non venivano conteggiate, in quanto avviate ai pascoli più marginali, scomodi e impervi).
Le famiglie di proprietari, molte di Samolaco ma anche alcune di Gordona (qui ci troviamo sulla testata della Val Garzelli, una diramazione della Val Bodengo), frequentavano regolarmente l’alpeggio durante i mesi estivi fino agli anni ’70, dopodichè sono gradualmente diminuite, mentre le abitazioni, ristrutturate in buon numero, sono divenute case di vacanza.
I pascoli maggiori, riservando l’ampia piana agli animali da cortile, a vitelli, maiali, qualche mucca malata, erano più in quota, specialmente sull’ampia testata detta “Vèert” o “Avèert”: lassù rimanevano a lungo, tanto da indurre a costruire dei semplici rifugi da utilizzare solo in caso di maltempo, piccole stalle dette “sóste”.
Le case sono tutte addossate alle roccette poste a Sud, mentre a pochi metri scorre il torrente Garzelli che qui viene chiamato Boggia (la Bögia) e attraversa una bella conca quasi pianeggiante.
Lungo il corso d’acqua sono schierati i “caséi”, piccole costruzioni dentro le quali scorre un fresco ruscello in grado di conservare nelle conche (bassi e ampi recipienti circolari in rame) il latte appena munto, in attesa di raggiungere il quantitativo necessario per la “casèda”, la procedura che consente di ottenere burro e formaggio (il latte residuo, “seróon”, per i maiali, portati su in gran numero, tanto che la stradina che scorre tra le numerose baite del nucleo principale, tutte attaccate l’una all’altra, quasi a proteggersi vicendevolmente, fu scherzosamente battezzata “via ucc”, dato che “ucc” è l’esclamazione usata per allontanare tali animali).
L’alpeggio si raggiunge sia passando da S. Teresa e Sambosina, superando l’alpe Manco e valicando la Bocchetta di Campo (sentiero n. 4, tempo 6 ore) sia salendo da S. Pietro fino all’alpe Borlasca e percorrendo poi una lunga traversa (sentiero n. 3, 5 ore), sia salendo da Gordona fino a Garzelli in auto, affrontando poi un percorso di un paio d’ore: scelta più comoda e ormai preferita da tutti.
Da qui sono possibili belle escursioni; la preferita è quella che porta in un paio d’ore a valicare la Bocchetta Cannone, tra il Motto Rotondo e il “Sass Màarsc”: da lassù si apre il meraviglioso panorama sul Lago di Como, mentre poco sotto occhieggiano le acque blu del Lago di Ledù, accanto al quale sorge il Bivacco Petazzi (CAI di Dongo).
Monastero (dial. Munesc.tée)
Coordinate geografiche: 46º 15’11.95″ N – 9º 22’46.86″ E – quota m. 414
L’abitato, distinto in due nuclei, di cui quello più a Nord mostra ancora alcuni resti dell’antico monastero, è ospitato su un bellissimo terrazzo morenico, quasi pianeggiante: uno dei primi della lunga serie che inizia subito a Sud dello sperone roccioso della Torre di Segname, per finire, con quote man mano di poco meno elevate, sopra Casenda (il “gemello” di Monastero, pur di dimensioni inferiori, si può considerare il terrazzo su cui sorge Fontanedo; più a Sud si finisce con le due modeste elevazioni della Stalla e del colle sopra Vigazzuolo).
Dal piano la linea delle morene è bel visibile, naturalmente interrotta dai vari torrenti e ruscelli che scendono dalla montagna; sopra la piana di Monastero si individua nettamente un’altra morena, a forma di piramide tronca: è quella di Pianezza, che conserva ancora i ruderi di un’abitazione e dei muri di recinzione, raggiungibile lungo il sentiero per S. Teresa.
Quanto al monastero non si conosce altro documento se non la nota di consegna degli arredi (non specificati) dell’“oratorio” di Monastero alla chiesa di S. Pietro da parte degli eredi dei nobili Foico di Chiavenna (1772), mentre l’importanza della località nei secoli passati sarebbe confermata dal documento del 1454, dal quale si scopre che a una riunione di maggiorenti a Silvaplana (l’attuale S. Pietro) per discutere di problemi interessanti l’intera comunità di “Semoligo”, ben 4 partecipanti venivano da lassù.
La strada di recente ultimazione ha consentito una ripresa di interesse per la località, dimostrato anche da diverse opere di ristrutturazione; molti fabbricati testimoniano, attraverso le particolari soluzioni architettoniche adottate, che la località fu abitata e coltivata da tempi antichi. Una cappellina presso il bivio del sentiero è stata restaurata, mentre stanno deperendo alcuni bei dipinti all’esterno di vecchi edifici.
Santa Teresa (dial. Al Móont)
Coordinate geografiche: 46º 14’42.65″ N – 9º 22’20.55″ E – quota m. 947
Nel comune è una delle località di quota intermedia più grandi per estensione e numero di baite (seconda solo a Paiedo), nota ai frequentatori e residenti con la semplice e sbrigativa denominazione di Móont, sinomimo locale di maggengo.
Si trova su una confortevole sella, con parti quasi pianeggianti, sul lato sinistro (Nord) della Val Marana, nota qui come Val di Bécch (valle dei becchi, ossia caproni): un modesto ruscello che però, nel 1927, fu oggetto di un enorme movimento franoso staccatosi subito a valle dell’alpe Sambosina. Il tragico evento provocò la distruzione delle baite più vicine al corso d’acqua; inoltre vi perse la vita un contadino che cercava di salvare le sue bestie. Al margine dei prati, con la migliore vista sul fondovalle, sorge la chiesetta dedicata ai santi Teresa e Giorgio, risalente al 1666 e ristrutturata negli anni recenti ad opera di volontari che hanno provveduto, in particolare, al rifacimento del tetto e ad importanti scavi e opere di drenaggio verso monte, dove i muri risultavano a diretto contatto con il terreno.
Qui in passato nascevano e si battezzavano dei bambini, mentre i parroci di S. Pietro vi trascorrevano dei periodi di villeggiatura nei mesi estivi; la casa parrocchiale è ora distrutta, ma a settembre si è ripreso a celebrare qui una messa, che si conclude poi con un pranzo in compagnia, allietato da canti eseguiti in coro.
La località è raggiungibile dal sentiero che sale da S. Pietro passando per Monastero (sentiero n. 4) oppure, più comodamente, seguendo la carrozzabile che da Era sale a Paiedo e giunge poi a Piazza Caprara (permesso di transito ottenibile dal distributore automatico a Era, presso il municipio).
Piazza Caprara (dial. Piàza Cavrée / Piéza Cavrée)
Coordinate geografiche: 46º 14’25.26″ N – 9º 22’44.50″ E – quota m. 795
È un bel maggengo sulla destra del torrente Bolgadregna, che qui scorre in una profonda forra rocciosa.
Vi si trovano due gruppi di baite, alcune ristrutturate ed utilizzate come seconde case: quello a quota leggermente superiore verso Sud, in direzione di Paiedo, l’altro, più in basso e su un piccolo spiazzo che si affaccia sul corso del torrente (probabilmente da qui la denominazione di Piazza, con l’aggiunta delle capre e capretti -in dialetto: cavrée-, che prediligevano questo comodo luogo per le loro soste), più a destra per chi sale, lungo il sentiero che, attraversando la Bolgadregna, conduce a Santa Teresa, altro noto maggengo del luogo.
Seguendo il medesimo sentiero che scende verso i crotti della Piazza e si conclude a Nogaredo, poco sotto Piazza Caprara e sul bordo delle rocce (Crestóon), a precipizio sulla gola del torrente, si trova una cappella con residui dipinti, ora in corso di restauro.
La località è raggiungibile anche seguendo la carrozzabile Era-Paiedo (serve il permesso di transito, ottenibile anche dal distributore automatico all’esterno del municipio).
Alpe Campedello (dial. Campedèl)
Coordinate geografiche: 46º 13’ 58.80″ N – 9º 21’ 32.78″ E – quota m. 1735
Alpeggio alla base del pizzo Campedello. La capacità di carico, un tempo misurata in erbate o “vaccate”, era attorno alle 20 (quindi: 20 bovini adulti, oppure quantità maggiori se si portavano su anche vitelli).
In passato ospitava una decina di famiglie, poi rimase un solo pastore, purtroppo colpito da un fulmine nel 1987, anno del definitivo abbandono. L’alpeggio è raggiungibile dal sentiero che inizia a Scima i Prée, sopra Paiedo, punto di arrivo della carrozzabile che sale da Era.
Da qui si può proseguire per l’Alpe Manco, in alta Val Mengasca (vi si trova un rifugio) e, oltre la bocchetta omonima, raggiungere l’Alpe Campo, in un’ampia conca al termine di una laterale della Val Bodengo. Un sentiero meno agevole conduce anche all’Alpe Canale.
Cima i Prati (dial. Scima i Prée)
Coordinate geografiche: 46º 13’ 49.58″ N – 9º 22’38.80″ E – quota m. 1109
È il nucleo più elevato di Paiedo, in bella posizione panoramica (il toponimo, di immediata comprensione, indica appunto la posizione delle baite, collocate al limite superiore dei prati, oggi purtroppo non più curati e destinati al rimboschimento). Alle poche abitazioni preesistenti, tutte ristrutturate, se ne sono aggiunte di più recenti.
Una bianca cappelletta, da poco restaurata, è il punto prescelto dai visitatori per scattare foto ed ammirare il panorama, con l’occhio che può spaziare su tutta la Valchiavenna. Qui termina la strada carrozzabile che sale da Era (permesso di transito al distributore automatico presso il municipio) ed inizia il sentiero verso gli alpeggi in quota (Cortesella, Canale e Campedello, da cui si può proseguire per Manco e Campo).
Fontanedo (dial. Funtané)
Coordinate geografiche: 46º 14’12.03″ N – 9º 23’47.07″ E – quota m. 350
L’antico nucleo, ora abbandonato, si trova sull’ultimo dei terrazzamenti morenici che si susseguono, da Nord a Sud, sulla sponda destra della Valchiavenna, a partire dallo sperone roccioso della Torre di Segname (notevole quello di Monastero; altri, minori, ospitano i ruderi della Piazza, la Tambra, il Colle -Mott- di S. Andrea). Numerosi sono ancora i vecchi fabbricati muniti di “lòbie”, i tipici ballatoi in legno sui quali durante l’inverno si esponevano in passato le pannocchie di mais per l’essiccazione.
Una vecchia cappella votiva, di grandi dimensioni (tanto da essere denominata geṣaöö, piccola chiesa), è stata restaurata nel 2010-2011 dalla Associazione Culturale di Samolaco.
Ronco (dial. Róonĉ)
Coordinate geografiche: 46º 14’16.64″ N – 9º 23’39.49″ E – quota m.336 – Via Francisca (breve deviazione)
Tra Fontanedo e Montenuovo, a quota leggermente superiore, l’antica frazione è ora raggiungibile seguendo la strada che sale da Era e conduce fino al maggengo di Paiedo; era nominata “terra de Runcho” in un documento del 1189.
Molte le antiche abitazioni (diverse abbandonate; tuttavia altre recuperate o in via di ristrutturazione), nelle quali sono visibili strutture architettoniche particolari quali volte, apertutre trilitiche, portali con piedritti ed architravi in pietra, molte “lòbie” (ballatoi in legno un tempo usati anche per esporvi le colorite pannocchie di mais per l’essiccazione). Oltre a simboli religiosi, quali croci incise presso le aperture, sono visibili qui (come nelle vicine frazioni di Montenuovo e Surléra) delle semplici decorazioni a graffito, simili a quelle diffuse nella vicina Engadina, come abbellimento di porte e finestre.
Montenuovo (dial. Bunnööv / Burnööv)
Coordinate geografiche: 46º 14’23.85″ N – 9º 23’38.54″ E – quota m. 320
È il primo degli antichi nuclei che si incontrano seguendo la strada che da Era sale fino al maggengo di Paiedo. Le vecchie costruzioni presentano molte strutture a volta (soprattutto per gli scantinati), portali ad arco, spesso con piedritti in pietra. Particolari, qui come a Ronco e Surléra, diverse decorazioni alle aperture di porte e finestre con la tecnica del graffito, simili a quelle diffuse nella vicina Engadina.
L’abitato si trova lungo l’antico percorso della Via Francisca, recuperato negli anni recenti e molto frequentato da escursionisti che da Chiavenna raggiungono il tempietto di S. Fedelino, presso lo sbocco del fiume Mera nel Lago di Mezzola.
Cascata della Pissarotta
Poco a S rispetto all’abitato di Somaggia, raggiungibile in breve facendo una piccola deviazione sulla destra lungo il percorso n. 8 (Somaggia – Basone), la cascata è ben visibile anche da chi transita lungo la statale 36. Disponendo di un bacino idrico abbastanza modesto, la portata d’acqua, e quindi la spettacolarità della caduta, sono più evidenti durante il periodo delle piogge, mentre in caso di siccità il fenomeno risulta meno appariscente.
San Giovanni all’Archetto (dial. San Sc.van)
Coordinate geografiche: 46º 13’43.75″ N – 9º 24’37.64″ E – quota m. 217
Rudere della chiesa di San Giovanni Battista, nei pressi del territorio dell’antica Summo Lacu (presenti, nelle vicinanze, i resti di due fornaci).
Il luogo era soggetto a ripetute alluvioni con esondazioni dei torrenti Casenda e Meriggiana, tanto che l’edificio sacro fu più volte ricostruito ricorrendo a delle sopraelevazioni, fino a giungere al definitivo abbandono dopo le ulteriori alluvioni del 1930.
Ora rimangono i muri perimetrali (m. 17 x 8) e la parte superiore dell’abside (su queste strutture si è provveduto ad un primo restauro con la pulizia e consolidamento nel 1996, ricollocando anche la copertura in “piote” dell’abside; un successivo intervento nel 2009 è servito a rifare la pavimentazione).
Sulla facciata si è conservato, in quanto protetto da una piccola nicchia, il dipinto raffigurante S. Giovanni e S. Fedele, opera del chiavennasco Franceso Prevosti risalente al XIX secolo e restaurata nel 2012.
L’edificio si trova lungo il percorso storico della Via Francisca, che collega Chiavenna con l’Alto Lario (Via Regina) e consente di raggiungere, in corrispondenza della confluenza del fiume Mera con il Lago di Mezzola, il tempietto romanico di S. Fedelino (nei pressi i resti di una cava di granito, da cui derivò la denominazione di “granito S. Fedelino” che contraddistingue questa pietra molto pregiata e ricercata per opere di edilizia, pavimentazioni e cordonature di strade e marciapiedi).